'' OTHELLO '' DI SHAKESPEARE, SECONDO VERDI - BOITO
DI
MATTIA PELI
(1999)
Sono osservazioni importanti,e non c'è dubbio che Boito scrisse un eccellente libretto: proprio
dal modo in cui è congegnato dipende infatti la novità di "Otello". L'impianto drammatico
dell'opera, già evidente nel libretto a struttura continua,non permetteva un ritorno alle forme
chiuse tradizionali ( arie-duetti ecc.): "Otello" è un'opera moderna nella sua concezione,per
atti piuttosto che per pezzi chiusi,e non è un caso che proprio a essa abbiano guardato i
compositori italiani più giovani e soprattutto Puccini. Verdi fonde le forme chiuse in un
discorso unico, dove il recitativo ha un notevole rilievo, raggiungendo spesso una foza
drammatica e lirica senza precedenti: nessuna opera verdiana precedente è in grado di
realizzare, come "Otello", un equilibrio così perfetto fra le ragioni della musica e quelle del
dramma .L'avanzamento si manifesta anche dal punto di vista della ricchezza orchestrale
(non da quello melodico),che raggiungerà il suo massimo con Falstaff ; Verdi dimostra di aver
compreso e assimilato la lezione di R. Wagner e di averla saputa adattare al suo
temperamento di artista italiano,con uno sfozo creativo e una capacità di rinnovamento del
linguaggio straordinari in un compositore più che settantenne. Si capisce percio perché
"Otello" rappresenti un punto di svolta di tutto il melodramma italiano con il cui apporto si
apre una nuova éra nella storia dell'opera.
" OTELLO" : SHAKESPEARE RIVISITATO DA BOITO ( DIFFERENZE TRA IL DRAMMA
E IL LIBRETTO )
Boito diventa un collaboratore decisivo per il vecchio Verdi interessato al concepimento di
un'opera nuova, al passo coi tempi. E anche il rapporto tra Boito e Verdi, come abbiamo
potuto constatare, risulta completamente differente da quelli che il maestro aveva fino a quel
momento intrattenuto con i nuovi collaboratori. Invece di essere il compositore a dettar legge
al librettista ,come Verdi aveva fatto anche I'ultima volta con Ghislanzoni per I'Aida,ora un
peso determinante riesce ad ottenere anche il librettista (Boito). Non è facile la
collaborazione tra Verdi e Boito, ma è proprio dal continuo contrasto e dal dibattito tra idue
che prende forma il dramma. Boito non ha alcuna intenzione di staccarsi da Shakespeare,
anzi si chiede spesso se è rimasto sufficientemente fedele al testo. Ma e evidente che rivive
in lui I'antica formula della Scapigliatura , di cui era stato uno degli esponenti più in vista :
fondere insieme " le tre arti " , cioè la musica, la letteratura, le arti visive (pittura e scultura;più
propriamente,nel caso di un dramma teatrale,la scenografia che,in un'opera qual è "Otello",
non puo che essere fortemente suggestiva). In questo la Scapigliatura ricorda e sl avvicina
afl'idea wagneriana " Wort-Ton-DRAMA " : I' opera totale libera da schematizzazioni
convenzionali. La ricerca della combinazione tra queste diverse componenti,esaltate nel
compenetrarsi in quella che per gli Scapigliati doveva essere la " completa arte di domani ",
appare particolarmente efficace quando si ha alla base la carica d'intensità e la finezza
psicologica del grande inglese. Lo stesso sarà per Falstaff, I'ultima opera verdiana ( mentre
era risultato mediocre il tentativo del Macbeth,che se ha un grande valore nell'evoluzione di
Verdi,non riesce tuttavia a rappresentare un suo incontro compiuto con lo spirito
shakespeariano ). Le sue due grandi riduzioni di Shakespeare costituiscono un fatto di
ineccepibile qualità. Confrontando il "Falstaff " con " Le allegre comari di Vúindsor " si
constata I'abilità di Boito nel migliorare I'originale shakespeariano ( sfrondando la trama della
commedia di ogni elemento superfluo e piegando il suo linguaggio,spesso basato
sull'allitterazione, in funzione timbrica e musicale )così come l"'Otello" di Boito,unito alla
musica di Verdi,ha il merito d'aver in un certo senso " superato " la stessa tragedia di
Shakespeare. Per capire cio va sottolineato il concetto di riduzione. La sua qualità piu
conosciuta è quella di essere più che un creatore un riduttore.
L'etica dell' adattamento, più che della creazione,è componente integrale del libretto italiano.
Tuttavia la grande capacità boitiana di riduzione è un fatto suo personale e anzi i suoi libretti
sembrano costituire la punta qualitativa più alta della bravura di un librettista di sintetizzare
al meglio la trama originaria di un altro autore . Facendo questo però, la storia, sotto le sue
mani, invece di perderci,incredibilmente ne acquista in drammaticità. Ad esempio l' "Othello"
originario, come si è detto,ha incongruenze, difetti e alla lettura poco equilibrio,logicità,
scorrevolezza. Boito attraverso tutta una serie di scelte drammatiche riesce a migliorare
e a rendere più credibile la tragedia agli occhi di un pubblico che bisogna considerare
appartiene all'epoca tardoromantica ( quasi tre secoli dopo l"'Othello" shakespeariano!!! ).
Per Boito non c'è bisogno di seguire pari passo I'originale.La grande cultura,il suo gusto
innato e lo snobismo critico lo portarono a scegliere solo il meglio di Shakespeare e Goethe
( Mefistofele ). E all'interno dei capolavori scelti mirÒ a cogliere i concetti e gli ideali-cardine
del testo.Sono questi ultimi che gli interessano.La sua sfida,quando dice di voler rimanere
il più fedele possibile a Shakespeare, è quella di non travisare I'assunto drammatico della
tragedia e di mettere quindi in scena,non tanto gli avvenimenti precisi ma semmai i "caratteri"
morali (e simbolici ) che stanno nascosti dietro gli apparenti dialoghi teatrali e dietro i personaggi stessi.
In realtà questo è più un proponimento in quanto quello che lui e Verdi vedevano nei
personaggi è quanto di più giusto e profondamente vero un uomo moderno possa vedere.
Ma si tratta comunque di una visione profondamente influenzata dal romanticismo e che non
puo prendere in esame il pensiero e le aspettative di un pubblico di inizio '600.
Dal raffronto del testo originale con quello di Boito emergono differenze talvolta anche
sostanziali che,almeno per il nostro moderno gusto,sembrano senz'altro awantaggiare la
tragedia boitiana. Le differenze maggiori sono senz'altro queste:
) innanzi tutto la completa assenza dell' ATTO I , almeno nella sua vicenda essenziale
(NB : alcuni tratti del I Atto perÒ Boito li fa confluire negli altri atti ) ;
2 ) poi I' elenco dei personaggi è più corto di quello della tragedia
) ll CREDO Dl JAGO e invenzione di Boito che riesce a far confluire in soli 23 versi ( ! )
gli aspetti essenziali del personaggio shakespeariano, Iago
ll colloquio tra Desdemona e Cassio, che in Shakespeare èall'lnizio della teza scena del
III ATTO,invece di essere affidato al potere chiarificatore della parola come nel dramma,
nell'opera viene sostituito da un effetto di straniamento ben noto anche a Verdi ( che
I'aveva impiegato nell'apparizione di Duncano nel " Macbeth " di Piave ).Desdemona
compare,presenza muta nella seconda scena del II ATTO,durante il monologo di lago
( il "CREDO" ),e inizia il colloquio con Cassio sullo sfondo.
6 ) Ancora di invenzione boitiana è I'introduzione di un coro ( "Dove guardi splendono" ) in
lode di Desdemona dopo che Jago, in dialogo con Otello, ha invitato il Moro a vigilare
sulla moglie ( Scena teza,ATTO II ).
7 ) ll famoso monologo di Otello " Dio ! mi potevi scagliar tutti i mali " ( inizio Scena terza,
ATTO III ) contiene la materia presente nel dialogo tra gli sposi della scena II del IV
ATTO in Shakespeare.
8 ) L' inizio del V ATTO di Shakespeare fa parlare piuttosto Othello che Desdemona ( la
canzone del salice che Boito situa nell' ultimo atto in Shakespeare sta nel penultimo;
inoltre nel dramma originale non c' è traccia di preghiera, che è un' altra invenzione di
Boito ).
9 ) ll finale è abbastanza esteso in Shakespeare mentre il libretto lo riassume e prosciuga
felicemente.
10) Emilia in Shakespeare viene uccisa dal marito con una spada. In Verdi il marito invece
non uccide la moglie. lago in Shakespeare viene punito ( soprattutto ideologicamente!),
mentre Verdi e Boito optano per la scelta di farlo fuggire lasciando il dubbio che rimanga
impunito.
Procediamo ora per ordine a tentare di capire queste scelte. La soppressione del I atto di
Shakespeare è una scelta forte che compie Boito, uomo e musicista maturo, che aveva alle
spalle tanta cultura ed esperienza pratica come compositore e librettista. Se ha scelto di
convogliare qualche aspetto del I atto nei successivi è perché questi per lui sono gli aspetti
cruciali da non dimenticare in una riduzione librettistica. Ma si puo ben capire che I'intero atto
sarebbe stato di peso all' economia del dramma cantato. La riduzione di Boito inizia invece con un primo atto che coincide a grandi
linee con il secondo di Shakespeare. La vicenda storica è solo immaginata e I'attenzione si
convoglia tutta su una storia che si svolge interamente a Cipro e che pone la sua attenzione
più sui dialoghi e sugli accadimenti legati alla coppia Otello-Desdemona. Intal modo lo
spettatore si concentra tutto sulla vicenda amorosa che ha uno sfondo storico di base
sintetizzante bene il non più attuale attacco dei Turchi che non avrebbe interessato molto un
pubblico di fine ottocento. Boito, insomma, raggiunge maggior unità di luogo e di azione mettendo in scena il dramma psicologico dei personaggi principali attorno al quale gira la
vicenda.
ln questa stessa scia si collocano le scelte di un elenco più corto di personaggi e del
racconto dell'innamoramento che viene fatto confluire nel duetto d'amore.
Ma le scelte di Boito non sono. come si può ben vedere. solo di riduzione: vi sono anche
apporti personali. momenti, assenti nel dramma shakespeariano. che sono di diretta
invenzione del librettista. I tre episodi precedentemente sottolineati come nuovi, cioè il
"CREDO" di Jago, il Coro "Dove guardi splendono", la preghiera di Desdemona "Ave Maria",
sono alcuni esempi di aggiunte dell'autore del libretto tra i più significativi e servono a chiarire
meglio ad uno spettatore quello che rappresentano i personaggi principali per Boito e Verdi.
Questi in ultima analisi mirano ad evidenziare di più, su tutti i personaggi, Desdemona e
Jago.E lo fanno cercando di contrastarli simbolicamente nella maniera più etficacemente
drammatica. Manca al proposito un intervento di Otello personalizzato da Boito, se si
eccettua il I atto dove vi è I' intervento indiretto di Otello attraverso il coro fortemente
drammatico ( che riprende I'uso del coro greco come apertura delle tragedie antiche), con
"Lampi! tuoni! gorghi! turbi tempestosi e fulmini !" e soprattutto con la preghiera "Dio, fulgor
della bufera!", che mira a sottolineare la credenza in Dio, determinatore degli accadimenti
umani, e assieme a questa sacralità, che abbiamo visto in Shakespeare come sia tipica di
Othello, la speranza che il Moro, in cui il popolo di Cipro nutre fiducia come loro eroico
guerriero cristiano, si salvi dalla tempesta.
A differenza di Shakespeare Otello sembra rimanere fino all'ultimo "la gran vittima della
tragedia", "h gran vittima di Jago" incarnante "la Gelosia" secondo le precise indicazioni di
Boito nella "Descrizione dei Personaggi dalla Disposizione Scenica" in appendice al libretto.
Quelfo che più interessa visualizzare a Boito è invece il contrasto tra Desdemona, "castissima
ed armonica figura", e Jago, "uomo scellerato", incarnante "l'invidia" (che simboleggia il
male come distruzione, negazione) che infine,quando viene smascherato,invece di essere
punito,
fuggendo sembra trionfare sul mondo per lui irraggiungibile diOtello-Desdemona.
Questo dualismo-dell'ideale e del reale, del bene e del male, del positivo e del negativo-che
troviamo già nella poesia giovanile di Boito diventa un principio fondamentale per il musicistapoeta
padovano che si riscontra in tutta la sua opera.
Con la scelta di un episodio solistico per Jago di invenzione propria Boito ha I'occasione di
caratterizzare ilpersonaggio facendogli dichiarare (apertamente verso il pubblico) isuoi
principi, di uomo scellerato, in cui crede. Se in Shakespeare avevamo un "comico" che porta,
non conscio appieno delle conseguenze del suo operato, alla tragedia chi gli sta intorno, qui
abbiamo invece un personaggio ben conscio del suo dramma interiore di uomo che,
diversamente da quel che vuol farci intendere con le insistenti anafore della parola "credo", in
realtà non crede a niente ( tanto meno a Dio!).
Così come Boito drammatizza Jago, fa di Desdemona il simbolo della purezza e dell'onestà.
Se in Shakespeare non appare un personaggio del tutto riuscito per I'eccessiva petulanza
nell'insistenza a difendere Cassio e I' irritante ostentazione di ingenuità che suona falsa in
una donna dalle passioni forti, che non ha esitato a prendere I' iniziativa del corteggiamento
( I, 3, 162-65) e a fuggire dalla sicurezza della casa paterna per celebrare nozze segrete,
Desdemona in Boito ( e più ancora con I' aiuto di una sua vocalità nella musica di Verdi di
estrema purezza) viene presentata come la quintessenza della castità. Boito e Verdi cercano
in tutti i modi di far credere assolutamente onesta Desdemona facendoci commuovere di
fronte alla sua ingenuità, sorretta da grande fede cristiana, costantemente travisata fino a
quando Otello non scopre la sua innocenza.
Ecco perché il colloquio tra Desdemona e Cassio e immaginato e sappiamo cosa avviene
non dai dialoghi, ma da come vede e ci descrive uno scellerato come Jago. Questo dialogo
immaginato è chiaramente innocente negli intenti dei due personaggi-amici perché è Jago
che ce lo fa capire con la frase "Mi basta un lampo sol di quel sorriso/Per trascinare Otello
alla ruina".
Nello stesso modo si può capire I'elemento, che non compare in Shakespeare, del coro di lodi
per Desdemona, che appare sullo sfondo della scena avvicinandosi lentamente mentre Jago
continua la sua parte infernale. Donne e bambini spargono fiori e rami intorno alla "bella e
innocente figura" di Desdemona, come scrive Boito in una lettera a Verdi del 17 giugno 1881
inviando il testo del coro. Tutta questa scena di apoteosi di canti e di fiori per Desdemona nefl'opera ha un peso fondamentale perché contrappone con forza crescente Otello e Jago e
permette ad Otello di concludere con il distico:
"Quel canto mi conquide
No, no, s' ella m' inganna il ciel sé stesso irride."
in piena aderenza letterale alle parole della tragedia:
But I do love thee! and when thee not,
Chaos is come again.
E così come il concertato del III atto ci porta al massimo di commozione per Desdemona (la
cui incapacità di capire I'atto violento del marito, che davanti a tutti I' insulta e la butta a terra,
viene commentata dai presenti increduli, tranne Otello e Jago), così la preghiera di
Desdemona nel IV atto introdotta da Boito ci offre una figura fin all' ultimo pia, con la
coscienza a posto, adempiente al suo dovere di cristiana pur nella paura di un uomo, Otello,
che non riconosce più come suo marito.
La scelta di Boito di convogliare nella scena III del III atto come soliloquio "nel massimo
grado di abbattimento" cio che Otello dice alla moglie in Shakespeare nel IV atto (2,47-63)
appare più credibile in quanto la moglie non intende la causa del turbamento di Otello.
L' inizio del IV atto di Boito dà ancor maggior risalto alla figura di Desdemona più che a
quella di Otello e situa all' inizio dell' atto la canzone del salice, e non nel penultimo atto come
in Shakespeare, per portare I'attenzione dello spettatore tutta su Desdemona e il suo dramma
di incomprensione totale della sua "colpa".
ll finale, esteso in Shakespeare, e ridotto da Boito per ottenere un impatto tragico, il più
possibile violento e sconvolgente, sullo spettatore che non ha quasi il tempo di ragionare sugli
accadimenti così velocemente presentati: la morte di Desdemona, quella di Roderigo, lo
smascheramento di Jago, la fuga di quest'ultimo, il suicidio di Otello.
E se Emilia in Shakespeare viene uccisa da lago e qui invece no è per ribadire e consacrare
la sua eroicità nei riguardi del marito che, ingannando tutti, riesce a fuggire. E qui sta il punto,
probabilmente, di tutta la "lettura" di Verdi e Boito.
Se Shakespeare punisce ideologicamente l' "uomo moderno" (lago) riportando I'attenzione
del pubblico su quello "antico" (Othello e Desdemona) retto da alti valori umani, Verdi e Boito
con la fuga di Jago (e forse I' impossibilità di essere punito !?!) vogliono probabilmente
lanciare un messaggio tragicamente di sconfitta, alle porte del XX secolo, dell' "uomo antico"
(Otello) che diviene il simbolo impotente della vittoria di Jago, "uomo moderno" privo di valori
spirituali e morali. E se in "Otello" ciò e detto in maniera tragica, ancor più tragicamente, al di
là dell'apparenza "comica" di un' opera come "Falstaff' verrà ribadito il concetto con il
personaggio "antico" di Falstaff, gabbato e sbeffeggiato da tutti, che malinconicamente pensa
al suo mondo perduto!
ANALISI GENERALE E CONSIDERAZIONI SULLA METRICA NEL LIBRETTO ''OTELLO''
DI A. BOITO
Il lavoro di Boito nel ricreare un dramma ridotto all'essenza viene operato con scelte metriche
e rimiche del tutto particolari che si riflettono nell'uso di particolari versi e strutture strofiche
ricorrenti qui più di altre.
A differenza di Felice Romani,che era stato il librettista piu noto della prima metà dell' '800
creando lavori come "ll Turco in ltalia" ( 1814 | per Rossini ) - "La sonnambula" (1831 | per
Bellini ) - "Elisir d'Amore" ( 1832 / per Donizetti ), Boito introdusse nei suoi libretti una
concezione poetica assai ampia,derivata in parte dall'ammirazione per i fuochi d'artificio
verbali di V. Hugo e in parte,certamente,anche dal suo personale orecchio musicale
estremamente sensibile alle sfumature sonore.La sua curiosità intellettuale lo indusse a
sperimentare una grande varietà di forme poetiche,di combinazioni di rime e, soprattutto ,
di sonorità verbali.Quello che spicca maggiormente nei libretti boitiani è tuttavia il suo uso
di frasi brevi (à la Hugo) e la sua predilezione delle sibilanti (consonanti come "s" e "z" ).
ll verso operistico italiano era sempre stato affidato alle sdolcinate sonorità delle sue
componenti (la poesia di Metastasio ne è un simbolo evidente) che potevano essere idilliche
o magniloquenti,ma sempre e comunque orecchiabili.Se venivano usate sonorità più dure e
dissonanti era sempre per inserirle invariabilmente in un contesto comico. Boito,invece,si
allontano per tempo dal verso lungo e melodioso cominciando ad usare versi brevi e nervosi
che si incuneano tra i versi più lunghi del recitativo,solitamente costituiti da nove sillabe ( per
Boito tali versi di nove sillabe equivalevano all'alessandrino francese ). Anche nell' "Otello" è
ben visibile la predilezione per i versi corti .All'inizio abbiamo addirittura versi di dieci sillabe
spezzati tra i vari gruppi del coro e i personaggi Montàno e Cassio " Una vela! / Una vela! /
Un vessillo! / Un vessillo! / E'l'alato Leon!" che con I'accento cadente sull'inizio di ogni
interiezione caratterizzano la scena rendendo gli interventi come i richiami guerrieri dei
marinai. Un esempio di come Boito adoperi la frase breve sia con sibilanti dure ed "r" crude
ed aspre che con suoni vocalici "i", relativamente dolci ma ancora piccanti, è il momento dove
il coro, tutto, "grida" alla vittoria e allo sterminio dei nemici in una ottava formata da senari:
Vittoria! Vittoria! Sterminio! Sterminio!
Dispersi , distrutti ,
Sepolti nell'orrido
Tumulto piombàr.
Avranno per requie
La sferza dei flutti
Avranno per requie
La sferza dei flutti
La ridda dei turbini,
La ridda dei turbini,
L'abisso, l'abisso del mar
Esempi del genere riempiono abbondantemente i suoi libretti : la loro qualità principale è la
capacità,con tutte quelle sonorità verbali, di perforare il denso tessuto dell'orchestra
ottocentesca.
Ma il verso breve caratteristico di Boito, che era davvero raro nella librettistica tradizionale
classica precedente al grande padovano (come nel Romani o nel Piave), è il quinario. Lo
troviamo semplice così come doppio o triplo. Un esempio di quinario doppio è "Fuoco di
gioia". Qui abbiamo ancora I'uso della "s" e "z",della "r"(spesso insieme alla "i") ma anche
della "f',"v","p". Queste lettere sono onomatopeiche,danno il senso di movimento e di crepitio
del fuoco arso dai popolanin festa in molte espressioni e parole come"valîp€t","guizza,
sfavilla, -crepita, avvampa", "Arde la palma","fiamma","Soffia I'ardente","rapido brilla! / Rapido
passa","Splende, s'oscura, - palpita, oscilla, / L'ultimo guizzo - lampeggia e muor'.
Quinario semplice è usato poi in "lnnaffia l'ugola" dove I'uso delle consonanti prima citate
viene usato per dar il senso di gioia e di piacere che il vino provoca in chi lo beve.
"Di vaghe annugola / nebbie il pensier/" di Cassio con l'uso di "a","g","e","n","o","b" che danno
il senso con la loro lunghezza fonica di ubriachezza, di perdita di coscienza. Straordinario comunque tutto il momento dell'ubriacatura ( dove domina il vino ) che sembra davvero il
recupero e la trasposizione di un'orgia bacchica nel contesto di una tragedia moderna come
ci confermano anche iversi di Jago,ripresi poi dal Tutti :
"Chi all'esca ha morso
Del ditirambo
Spavaldo e strambo
Beva con me "
che invitano a trastullarsi e a godere il dolce piacere del vino.
Tendenze di questo genere nelle poetiche librettisticherano abbastanza nuove in ltalia,
perché altri librettisti e critici,mentre ammiravano Boito per la sua poesia,per la sua cultura e
per la sua padrcnanza di un vasto vocabolario, nondimeno gli obbiettavano I'eccessiva
inclinazione per le sibilanti,la crudezza degli accenti e l'asprezza di quello stesso vocabolario.
Gli obbiettavano inoltre un uso ostentatamente smodato di termini e di modi espressivi ormai
caduti in disuso che occupavano veramente una larga parte dei libretti di Boito (specialmente
il "Nerone" infarcito di latinismi dimenticati da secoli ).
Ad esempio nel primo atto dell' "Otello" il brano corale "Lampi ! tuoni ! gorghi ! " è composto
da due quartine di versi di sedici sillabe,ciascuno dei quali scomponibile in un ottonario piano
e un senario sdrucciolo :
C Allegro agitato Lampi ! tuoni ! gorghi ! turbi tempestosi e fulmini ! 8-6
Mario Lavagetto in "Quei più modesti romanzi.ll libretto nel melodramma diVerdi"(Milano,
Gazanti, 1979 ) afferma che con questo insolito verso Boito intende " ricostruire il
tetrametro trocaico catalettico ", ossia un verso appartenente alla metrica classica di tipo
quantitativo (che divento poi il metro piu in voga nei canti popolari e restò anche negl inni
cristiani del medioevo, per lo più in terzine) che i poeti di fine Ottocento,nel quadro della
sperimentazione barbara, cercano di adattare al verso italiano accentuativo ( Boito si servirà
di questo stesso metro nel suo "Nerone" ). Secondo le definizioni riportate nei trattati
ottocenteschi dversificazione il tetrametro trocaico è "un verso anacreontico, che e composto
di due dimetri, l'un l'altro divisi da una cesura regolare"; esso diventa catalettico quando
privato dell'ultima sillaba e in italiano si puo trasporre in un ottonario più un senario
sdrucciolo.
Il sistema accentuativo del verso in questione
trasposto nella lingua italiana diventerà
dove l'accento princlpale del senario cadrà sulla terza sillaba, in unione al tetrametro, cioè
seguente un verso o membro di verso corrispondente al nostro ottonario italiano, il quale,
sappiamo, ama I'accento sulla terza.
Se si confronta I'accentuazione riprodotta qui sopra con quella del verso creato da Boito,si
osserverà che esse risultano uguali, anche nel caso in cui il senario diventerà tronco nel verso
finale di strofetta tetrastica ( dove la parola "Iddio" verrà musicata "Iddio" ) e precisamente
Làmpi ! tuoni ! gorghi ! turbi - tèmpestòsi ! e fùlmini !
Tréman l'ónde ,treman l'aure, - trèman bàsi e cùlmini.
Féndé l'etra un torvo e cieco - spirto dì vertìgine,
Iddió scuóte il cielo bieco, - còme un tètro vèl.
In tale brano si rileva non solo che le rime sdrucciole sono perfette e costituiscono una rarità
ritmica nell'àmbito librettistico verdiano e della tradizione poetica coeva, ma anche che la
rimalmezzo in coincidenza dell'ottava sillaba negl' ultimi due versi di quartina (la quale
evidenzia ulteriormente la suddivisione del verso in un ottonario e in un senario ) e la rima
tronca a conclusione di strofetta sono elementi che riflettono bene una originale ricerca di
lunghezze versali inconsuete e particolari. Tale verso, arricchito di rime all'uscita
dell'ottonario, viene impiegato anche nel duetto fra Otello e Jago dell'atto secondo :
3/4 Molto sostenuto Sì, per ciel marmoreo giuro ! Per le attorte folgori 8 - 6
Si potrebbe aprima vista pensare che queste soluzioni siano semplici giochi intellettualisti.
ln realtà non è così; come un Hugo infuse nuova vita alla lingua francese e Wagner fece lo
stesso per la tedesca come provano le sue allitterazioni e assonanze di parole,Boito ricercò
nei suoi libretti di riutilizzare il passato per ampliare il linguaggio e la sintassi del presente :
rompere una volta per tutte con il circolo chiuso del libretto italiano,con lesue formule
inveterate e ricorrenti. Le stesse parole - come, in minor misura , in Wagner -erano importanti
non in sé, ma come modelli di suoni differenti einsieme come blocchi per costruire modi
espressivi nuovi e non antiquati. La vivacità intellettuale di Boito non poteva accontentarsi dei
monotoni sussurri del libretto italiano medio. La prova della vitalità del verso boitiano,pur con i
suoi arcaismi,le sue parole costruite le sue costruzioni spesso esasperatamente ermetiche,
si può verificare confrontando i suoi lavori ad esempio con quelli di Ghislanzoni.
Quel che balza evidente in tutti i versi di Boito -e che ispira loro vigore- come aspetto primario
del suo temperamento artistico èil pregio della concisione e dell'efficacia nel modo di rendere
i personaggi. ll pregio della concisione si rivela cioè nella sua abilità di riuscire a riassumere
una scena o un personaggio in una frase facilmente afferrabile, di cui "Ecco il leone!", con cui
Jago chiude I'atto tezo,è un tipico esempio.La concisione è strettamente collegata,per di più,
allaforza di caratterizzazione,intesa qui nel senso più ampio.ln certa misura essa comprende
la ripetizione delle parole.Tale ripetizione assolve alla funzione sia musicale che drammatica,
e in definitiva si riallaccia ai cinque "Never'' dell'ultimo atto di "Re Lear" di Shakespeare.
Nell' "Otello" ad esempio,mentre Desdemona parla a Cassio,Jago dice "Or qui si tragga
Otello ! ... aiuta, aiuta / Sàtana il mio cimento! ... dandoci con la rimarcatura di "aiuta" il senso
terribile di come un uomo possa appartenere ad un mondo malefico visualizzato con il diavolo
invocato. Ancora Jago più avanti descrivendo il sogno di Cassio dice "Le labbra lente,lente,
movea,nell'abbandono / Del sogno ardente"; dove "lente" ripetuto ci dà proprio il senso dello
scorrere lento del tempo nel movimento delle labbra di Cassio .
La ripetizione delle parole poi la troviamo, al di là di una stessa frase, anche diluita nel libretto
dove campeggia davvero,quasi fino alla fine,il linguaggio di Jago che sembra "corrompere"
I'anima di vari personaggi che ne prendono il linguaggio.Da notare ad esempio come il
"Credo" di Jago sia un momento fondamentale per alcune parole che caratterizzano il
personaggio come lo stesso "credo" ripetuto quattro volte e poi il fango e il " verme dell'avel ".
La parola "credo" verrà ripresa ripetendola sempre quattro volte da Otello nella scena V del
II atto dove il "credo" assume la valenza di dubbio nell'animo turbato di Otello che non
sapendo più a chi credere vuole la "certezza",come rimarca due volte,seguita dalla "certezza"
detta sempre due volte da Jago in un "eco" sarcastico che muta la parola di nuovo in dubbio.
Nello stesso modo il "fango originario" di Jago sarà ripreso da Desdemona all'inizio del
concertato con le parole " A terra ! ...sì ... nel livido / Fango ... percossa io giaccio ..."; mentre
il "verme dell'avel" ( l' "Eterno verme" che Boito riprende dall'idea generale di verme come
simbolo del male distruttore ne "L'épopée du ver" di V. Hugo ) di concezione pessimistica e
richiamato nella scena III dell'atto III dove Otello nel suo soliloquio conclude:
Tu al fin, Clemenza, pio genio immortal
Dal roseo riso
Copril tuo viso
Santo coll'orrida larva infernal!
dove forte risulta il contrasto tra "Santo" (linguaggio sacrale proprio di Otello ) e l' "orrida
larva infernal ! " ( linguaggio profano proprio di Jago ).
La musicalità delle parole simboleggia i personaggi : il verme immortale che è in Satana
come l'idea antico-sacrale del fulmine che rappresenta un Dio giusto. Allo stesso modo nella
scena del coro in lode di Desdemona alla fine della III scena del II atto con l'uso alternato di
suoni vocalici lunghi e dolci comg la "o","a","u" e di consonanti come "g","v","m","d". Il
contrasto delle vocali e i rapidi cambiamenti dei colori vocalici all'interno di un verso sono una
caratteristica tipicamente boitiana.ln questo caso danno il senso di purezza, dolcezza,
innocenza e castità ad una donna, Desdemona,che sembra quasi trattata come una santa
( richiamo alla Madonna, Maria ).
La lingua, nella sua varietà e nella sua capacità di trasformarsi, è così il giusto complemento
della musica,in un modo che nessun altro poeta -italiano,francese o tedesco- dell'Ottocento
riusci ad eguagliare nè si sognò mai di riuscirvi.
L'attenzione che Boito rivolge al verso, inteso non come unità rigida, ma come elemento
scomponibile in più sottounità versali e dotato di un'accentuazione singolare, emerge dalla
lettera indirizzata a Verdi (Milano, 24 agosto 1881), con la seguente annotazione, relativa al
verso da impiegare in brani lirici e dialogati: "Il metro del dialogo e un endecasillabo che si può
spezzare, sì e no, come lei vuole, e, se si spezza si risolve in tanti quinari da cima a fondo. Lei
può dunque adoperare a sua scelta or l'una or l'altra delle due movenze, e ciò era necessario
ch'io facessi, perché un endecasillabo tutto d'un pezzo sarebbe riescito grave troppo e il
quinario troppo leggero. Mescolare visibilmente idue metri non mi piaceva, ho preferito l'artifizio
ch'ella vede; del resto mi pare che l'effetto ne sia efficace". Attraverso questa inusitata
ripartizione versale si moltiplicano gli effetti ritmici del brano, in modo tale da proporre al
compositore una più ampia gamma di possibilità. L'"artifizio", chs costituisce un sottile aspetto
della metrica boitiana, è ravvisabile in tutte le parti dialogate e liriche del librettc. ln base alla
chiarificazione di Boito è possibile scomporre in quinari e settenari tutti quegli endecasillabi che
formano ibrani lirici costruiti su sequenze, spesso irregolari, ma sempre rimate, di setîenari,
quinari ed endecasillabi. A titolo esemplificativo si riporta il brano in questione, dove gli
endecasillabi spossono suddividere in settenari e quinari (secondo le indicazioni numeriche a
lato):
E' infranto l'artimon [-] il rostro piomba (7-5)
Su quello scoglio [-] Aita! Aita! L'alvo (5-7)
Frenetico del mar [-] sia la sua tomba! (7-5)
E' salvo! salvo! (5)
Gittate i palischermi! (7)
Mano alle funi! Fermi! (7)
Farza ai remi! Alla riva! ... (7)
All'approdo allo sbarco! [-] Ewiva! Evviva! (7-5)
Analoga rilevanza ha la lettera che Boito scrive un 17 giugno 1881 a Verdi. In essa, infatti, il
librettista spiega che nel coro del secondo atto ha adottato "in principio e in fine e nei ritornelli
un senario accentuato non come isoliti, bensi con un accento forte ed uno debole, uniformi", in modo che 'il ritmo del verso accenni ad un tempo ternario'. ll coro in questione è cornposto da
due strofe ottastiche, una di senari ed una di quinari - le quali si alternano ad un ritornello di
senari per tre volte consecutive -, più una strofa conclusiva di otto senari:
C Allegro moderato Dove guardi splendono
6/8 Allegro moderato T'offriamo un giglio,
6/8 Allegro moderato Mentre all'aura vola
6/8 Un poco più animato A te le porpore
6/8 Mentre all'aura vola
6/8 A te la fiorida
Ancora piu animato Mentre all'aura vola
C Tempo I Dove guardi splendono
Nel caso particolare, il sistema accentuativo del senario e esattamente trocaico (,.Un uso
alquanto raro>, rispetto al predominante senario dattilico), confermando così ciò che Boito
intende per ritmo "binario" del verso. Nella medesima lettera I'autore aggiunge di aver scelto "il
senario accentuato binariamente", essendo alla ricerca di "un ritmo che potesse
accompagnare con frequenza di note le singole stanze quinarie che vi si intercallano [sic]", s
riporta il seguente esempio:
3/4 Mêntré / all'aura / vola / liètà / là / cànzon / ecc.
3/4 Â / te / del / sa / li /ce / ecc.
Il senario e il quinario, che creano sul piano verbale due ritmi differenti (il primo è trocaico e il secondo giambico), vengono musicati da Verdi con il medesimo tempo ternario (6/8), come aveva suggerito Boito. Al fine di far coincidere l'accento iniziale di entrambi versi nella
realizzazione musicale la prima sillaba atona del quinario giambico viene anticipata nella battuta
precedente, creando così una melodia in levare, prima del tempo e dell'accento forte, come
verificabile nella partitura verdiana.
Va riconosciuto, infine. che la collaborazione di Verdi con Boito porta ad un'innovazione anche
nella veste grafica della pagina del libretto, in quanto lo stesso compositore vorrebbe, attraverso
una nuova stampa del libretto, che .,il Publico [sic] potesse con un colpo d'occhio vedere e capir
tutto> - come dice in una lettera da S. Agata del 17 luglio 1886 - e suggerisce al librettista il
modo in cui stampare il foglio del concertato nell'atto terzo, indicandone la suddivisione in tre
colonne, la prima delle quaii relativa ai quattro brani solisti, la seconda agli interventi corali, la
lerza alle parti dialogate. E'osservabile, nel passo della lettera teste riportato, come sia la
struttura strofica a tener unite le singole parti del concertato, assumendo la quartina come strofa
di base; sul piano versale, invece, la scomponibilità ritmica dell'enCecasillabo in settenario ein
quinario sembra essere I'elemento indispensabile del pezzo concertato: più precisamente, gli
interventi solistici s'avvalgono di settenari, mentre le sezioni riservate al coro e al dialogo sono
costruite interamente su endecasillabi, iquali, abbinati, sono frammentabilin cinque quinari:
Prima colonna: Quella innocente un fremito 7
Seconda colonna:
pietà! Mistero! Ansia mortale, bieca 11
Terza colonna:
(Una parola. E che? T'affretta! Rapido 11
Le strutture strofiche individuate nell'Otello sono distinguibili in tre gruppi, il primo dei quali è
composto da schemi isometrici, consistenti per lo più in sequenze tetrastiche e, in minor
quantita, ottastiche, le quali rivestono una pertinenza "drammaturgica" in base alla scelta dei
versi (si osservi, ad esempio. il comportamento degli endecasillabi, icosidcjetti "versi lirici",
utilizzati musicalmente in maniera diversa a seconda del personaggio a cui si riferiscono).
ll secondo gruppo è formato da sequenze polimetriche, definite da Hepokoski anche "versi da
scena rimati", e il terzo da lunghe sequenze di endecasillabi irrelati (talvolta con I'intrusione di
qualche settenario e quinario) o come si riscontra in due casi di un distico di endecasillabi a
rima baciata.
Per evidenziare imomenti lirici dell'opera Boito non si serve degli schemi metrici consueti,
adottati dai precedenti lbrettisti, bensì crea combinazioni eterogenee di versi che s'avvicinano
sempre più ad una prosa versificata. (Non va dimenticato che Verdi negli anni precedenti alla
collaborazione boitiana aveva pensato di non servirsi più degli schemi rnetrici, esprimendosi
nella lettera da S. Agata del 17 agosto 1870 in questo modo: "So bene ch'elia mi dira: e il
verso, la rima, la strofa? Non so che dire; ma io quando l'azione lo domanda abbandonerei
subito ritmo, rima. strofa; farei dei versi sciolti per poter dire chiaro e netto tutto quello che
l'azione esige. Pur troppo per il teatro è necessario qualche volta che poeti e compositori
abbiano il talento di non fare né poesia né musica"). Nel caso in esame Boito non abbandona
né rima né strofa, ffia escogita una soluzione funzionale all'esecuzione mediante il ricorso ad
unità strofiche convenzionali per gli interventi corali e a sequenze polimetriche nei brani di
maggior intensità drammatica. In altre parole, nelle parti dialogate e nei monologhi egli
preferisce quinari, settenari, endecasillabi e doppi settenari scomponibili (e talvolta componibili),
impiegati in sequenze irregolari di strofe tetrastiche, ottastiche in sequenze non formalizzabili;
negli interventi corali, al contrario, Boito continua ad avvalersi di strofe isometriche formate da
versi parisillabi quali senari, ottonari, decasillabi e nei momenti d'intensità drammatico-lirica
ricorre agli endecasillabi "lirici"
A proposito dei doppi settenari va aggiunto che si tratta di versi doppi scomponibili in tripii
quinari quando vengono collocati nei momenti di maggior intensità drammatica, connotando
così all'azione scenico-musicale. Un significativo esempio di questo sperirnentalismo metrico è
dato dal racconto di Jago, costruito su versi che constano di quattordici unità sillabiche e che
sono interpretabili come tripli quinarin base alla presenzadi due rime interne, tipograficamente
non rilevate. Tali strutture versali sono impiegate in coppia e intercalate da distici di doppi
settenari:
III 6/8 Andantino Era la notte, Cassio dormia, gli stavo accanto 5-5-5/7 -7
Per una visione completa dei versi utilizzati nelle varie parti delle scene e delle strutture
strofiche presenti nel libretto boitiano musicato da Verdi, si propongono a fine capitolo due
schemi dove è evidente I'uso preponderante del verso quinario, settenario, endecasillabo;
inoltre è verificabile come i versi impiegati in schemi monometrici convenzionaii rappresentino in
entrambi testi una percentuale minore (35%. circa) rispetto alle combinazioni polimetriche (le
quali costituiscono una novità nell'ambito librettistico verdiano), alle lasse e alle sequenze
libere. Attraverso il gioco sofisticato - talvolta forse artificioso - di rime, rimalmezzo, versi
spezzati, sovrapposizioni ritmiche, continui cambiamenti d'accenti, rime sdrucciole perfette,
Boito s'è liberato dalle convenzioni metriche dei libretti verdiani, per accentuare le virtua!ità
ritmico-musicali insite nel verso stesso. E'dunque evidente che gli elementi morfologici
secondari diventano per Boito gli strumenti indispensabili per attuare quel cambiamento del
libretto melodrammatico cosi a lungo vagheggiato e declamato nel corso dell'Ottocento. Si può
infine affermare che grazie soprattutto all'intervento boitiano il percorso evolutivo della metrica
del libretto operistico sembra assimilarsi aquella della poesia di fine secolo, in quanto le misure
veisali si moltiplicano sfruttando I'intera gamma cjelle lunghezze sillabiche, perdendosi in ritmi
mascherati, sfuggendo alla regolare scansione ritmica, mentre la strofa tende ad assumere
connotati sempre più vaghi ed indefiniti.
CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA MUSICA COMPOSTA DA VERDI PER
L'''OTELLO'' DI BOITO CON PARTICOLARE RIGUARDO PER ALCUNI MOMENTI
FONDAMENTALI DELL' OPERA
Se nel primo periodo verdiano, quello delle opere in maggioranza "risorgimentali" è
caratteristico l'uso di masse corali (simbolo del popolo italiano) mentre caratteri ed
orchestrazione sono espressin modo talvolta rudimentale, ma sempre efficace, e se negli
anni di approfondimento psicologico ilcoro diminuisce di importanza a favore di un più
profondo sguardo sui caratteri (specie femminili), da Rigoletto in poi, negli anni finali, con
"Aida" "Otello" e "Falstaff', Verdi raggiunge una completa fusione tra orchestra (del tutto
raffinata) e voci. grandi affreschi corali e perfetta caratterizzazione dei personaggi. Ma è con
l"'Otello" che abbiamo la vera svolta in campo tragico: in esso vi è I' opera di un compositore
che rinuncia ad un prodotto di marca solo nazionale e che guarda a tutti i teatri d' Europa.
Verdi si è imoadronito della tecnica strumentale (soprattutto tedesca) e l' adopera senza
rinunciare al suo stile latino, opposto a quello tedesco di Wagner. Qui vi e dawero per un
dramma I' equilibrio perfetto tra azione. canto ed orchestra in una struttura musicale continua.
In "Otello" nulla è lasciato al caso e l'opera risplende quando vi è una esecuzione perfetta:
i personaggi sono visti con un certo distacco, nella loro compiuta espressione, al contrario
delle opere precedenti. Grande rilievo, più che I'aspetto melodico, ha il tessuto orchestrale
che con ogni tipo di mezzo cerca di caratterizzare e descrivere personaggi e azioni sceniche.
Fin dall' inizio con figurazioni veloci di scale diatoniche e cromatiche ascendenti e
discendenti, tremoli, trilli, arpeggi spezzati, note staccate di carattere agitato e impasti
strumentali che raggiungono spesso la piena orchestra sinfonica (in cui sono presenti ben 2
G. Casse, Piatti, Tam-tam e Organo con il registro dei Contrabbassi e Timpani) Verdi
rappresenta l'uragano che cerca di impedire e rende faticoso I' approdo della nave di Otello
sull' isola di Cipro.
All'ascolto di questa prima parte di scena vien chiaramente da pensare a quelle scene di
tempesta presenti nelle opere verdiane precedenti come per es. la scena VI dell' atto III di
"Rigoletto"; mentre all'arrivo di "Dio, fulgor della bufera" siamo all'utilizzo di tutta l' orchestra
trattata sinfonicamente mista ad un coro che non ha più nulla di risorgimentale ma semmai
ricorda di più il "Dies lrae" della "Messa di Requiem" del 1874 per A. Manzoni.
Numerose sono le realizzazioni musicali di Verdi che seguono fedelmente le prescrizioni
metrico-ritmiche di Boito, ma vi sono delle eccezioni. Ad esempio per quanto concerne la
realizzazione musicale della quartina citata "Lampi! tuoni! gorghi!", Verdi diverge dafla
versificazione proposta da Boito. Per alcuni motivi: nel primo verso non rispetta la cesura tra i
due dimetri del tetrametro trocaico, e nel quarto verso rende tronco il vocabolo "cielo" e
realizza la parola "bieco" con una "dieresi musicale" (trasformando cosi il 'bisillabo poetico' in
un 'trisillabo musicale').
e dagli interventi di Roderigo e Jago
sembra derivare direttamente l' "Esultate !" con cui fa il suo ingresso in scena il Moro.ln
realtà vi è una stretta connessione intervallare (in particolari intervalli di 6*e 3*che danno ad
Otello quell'eroicità vocale caratterizzante il personaggio) con tutta la sezione precedente al
suo ingresso, cosi come nella vicenda il Moro realizzando I'attesa dei ciprioti porta la notizia
di vittoria sui turchi.
Allo stesso modo è caratterizzatautta la partitura ricca non tanto di temi conduttori (leitmotiv
) ma piuttosto di intervalli e disegni ricorrenti e che sembrano generare le varie
situazioni sceniche dell'opera. In questo senso per esempio si capisce bene il valore
drammatico della figurazione discendente del personaggio Jago che nel primo recitativo
chiede cosa pensa a Roderigo:
figurazione melodica che ritorna anche in parti successive nel disegno melodico di altri
personaggi a simboleggiare come il linguaggio di Jago venga progressivamente assunto dagli
inconsapevoli personaggi che gli girano attorno e che cascano nella sua trappola.
Tale disegno melodico,con stessa finalità musicale-drammatica, sembra imparentato con la
figurazione (invertita) dell'Eterno verme
che simboleggia il male che troviamo all'inizio dell'atto II e che costituisce la base melodicoritmica
del successivo " credo " di Jago ( dove troviamo la figurazione che passa
alternativamente da Jago all'orchestra in vari ritmi e più o meno allargata nei valori.
La cosa però più incredibile che rivela l'analisi e I'ascolto dell'opera è I'assenza di melodie che
ricordino quelle classiche " alla Mozart " : quelle melodie " immortali " facilmente ricordabili
anche da persone comuni perché plastiche,fluide,compiutamente riuscite come quelle delle
opere della trilogia dapontiana .Qui invece le melodie sembrano essere varie volte invase
dallo stile del recitativo giustificato solamente per la straordinaria realizzaziane strumentale
che e costituita da impasti timbrici e successioni armoniche quanto mai meravigliose. Un
esempio evidente e significativo è il duetto della fine dell'atto I che ne costituisce la scena III,
dove le splendide e a volte inaspettate armonie sostengono,di più si fondono alle voci che al
di là di alcuni momenti di sfogo tendono a restringere il campo d' azione melodico (spesso vi
sono parti di frasi su una stessa nota ripetuta ).
Prima di "Otello" ( la prima opera svincolata da ogni commissione ) Verdi non aveva mai
indugiato nel descrivere I'amore,poiché questo veniva regolarmente stritolato negli ingranaggi
del potere e privato dello spazio per espandersi sulla scena.Ora I'opera europea,dopo
"Tristan und lsolde" di Wagner,aveva scoperto le possibilità dell'amore sensuale,soprattutto
con la rappresentazione di "Carmen" di Bizet (Paris 1875 ).
La passione di Otello per Desdemona se ha senz'altro anche una forte componente morale, e
fondata su una sensualità sconosciuta fino ad allora nelle opere verdiane. ll duetto è
introdotto in orchestra dal suono di quattro violoncelli solisti. Dolcezza, effusioni, nobiltà di
sentimenti fra i due sposi, ma soprattutto scoperta sensualità per descrivere la quale Verdi
adotta ogni mezzo musicale.
La varietà d'espressione richiesta al tenore che interpreta Otello è enorme : dopo aver
esordito con una frase acutissima, nell"'Esultate ",che richiede il sostegno di una voce
potente, nel duetto le sfumature che richiedono da due a quattro " p ", non si contano. Egli poi
conclude sul tono acuto di la bemolle in pianissimo sulle parole " Vien,V enere splende " ,
rivolte a Desdemona,-metafora chiaramente alludente alle sue intenzioni riguardanti il resto
della notte!
Ma se da un lato Verdi riprende con "Otello " ( e più ancora con " Falstaff " ) caratteristiche
wagneriane sia drammatiche che musicali,vi sono in"Otello"(e in "Falstaff") tanti tratti
armonici e melodici che sembrano incredibilmente preannunciare musicistitaliani successivi
al Cigno di Busseto come Puccini.
Lo si sente bene soprattutto nella parte vocale di Desdemona del duetto d'amore. Si
evidenzia, in particolare,alle parole "coll' anima rapita" batt.6-7 del Largo ( "Quando narravi
I'esule tua vita" ) :
Tale melodismo verdiano di fine secolo pare preannunciare in molti accenti di passione
sensuale caratteri melodici che saranno tipici di Puccini. L'influ enza melodica di "Otello" è
più che probabile sulle prime composizioni pucciniane, in particolare "Manon Lescaut" e "La
Bohème".
Importante notare come prima Otello e poi Desdemona abbiano un'aria ciascuno dove
esprimono, per ragioni diverse, I' ADDIO ALLA VITA ( Otello nell'atto III e Desdemona
all'inizio del IV ) . Per Otello si tratta della fine dell'amore e della vita; a ciò si arriva con un
crescendo drammatico graduale articolato in tre parti. All'inizio le prime due quartine, dove si
esprimono le forze stremate del Moro, il canto si articola ("con voce soffocata" in "p p p p")
con ritmi ansanti su due corde di recita (la bemolle e mi bemolle) e solo sulle parole "volere
del ciel" dal "la" si apre salendo a "do bequadro" ! Il suo canto è alternato al funebre ritmo del
quartetto d'archi sul quale digrada un mesto cromatismo.
La caduta delle biscrome sulle crome in "p p p", significa, come Verdi avrebbe detto, la
lassitudine fisica. "Con espressione" un gemito dei violini primi accompagna il canto d' Otello:
nella tezina, che ricorda in modo diverso quella di Jago, fortemente accentata sulla prima
nota, è un sospiro, un singhiozzar lieve,
Un fagotto ed i violoncelli sempre in "pp" oppongono ai singhiozzi dei violini una mesta e
larga frase. Questo controcanto è l' espressione intima d' Otello, il canto della sua passione,
il suo commuoversi, il ripensare vagando nel dolore.
Al ragionamento segue l' effusione del doloroso rimpianto. Dal mormorio strozzato del suo
canto Otello passa ad un canto, emergente sul tremolo in "pp" degli archi e larghi accordi dei
fiati, che si innalza nella visione di Desdemona che non è più presente, è un bene perduto.
Alle parole "Tu al fin, Clemenza" l' animo di lui si innalza ai piu elevati concetti fino ad arrivare
alla volontà dal furore selvaggio. Otello scoppia tremendo come fulmine: "Ah! dannazione!"
(affine melodicamente al "ciò m' accora" di Jago!), "Pria confessi il delitto e poscia muoia!
L' addio di Desdemona viene introdotto dalla descrizione orchestrale dell' anima sola di lei
dove spicca sugli altri strumentil corno inglese dalle sospirose frasi intonate discretamente
che riprende nella sua canzone. Ritroviamo qui risonanze psicologico-musicali del saluto "Dio
ti giocondi, o sposo" (Atto III scena II) e del pudico ricordo "Oh com' è dolce il mormorare
insieme" (DUETTO I Atto). La prima frase, già cantata dal corno inglese, è ora seguita da tre
richiami lontani con echi che si affievoliscono sempre più: "salce!" (su una teza minore
discendente che ricorda I' inizio del primo atto dove i richiami del coro sono impostati sempre
sull' intervallo di teza). Poi, come ritornello, il dolce invito: "Cantiamo", e la soave cadenza.
"Il salce funebre sarà la mia ghirlanda". ll da capo dell'introduzione è rinnovato dal rapido
parlante di Emilia: "Affrettati..., fra poco giunge Otello". Nell'accompagnamento della
seconda frase l'orchestra concorre più sensibilmente; per I' immagine dei rivi scorrenti fra
zolle fiorite, violini e viole hanno qualche fremito; per i gemiti e le lacrime, iflauti, gli oboi, i
violini, i clarinetti, mandano sospiri e gemiti. La teza strofa canta gli uccelli, ed i flauti e
I' ottavino sciolgono pigolii e trilli.
Non riecheggia stavolta la triplice invocazione del "salce". Una interruzione, una sospensione:
- Riponi quest' anello -. Poi il pensiero di Desdemona torna alla canzone, di cui i legni
ripetono dolorosamente I' introduzione, ed ella ha un moto di compassione per Barbara, di cui
la sorte fu tanto simile alla sua. Si addice, infatti, al suo stato presente il rassegnato
commiato (secondo motivo del preludio) della bella canzone: "Egli era nato per la sua gloria,
io per amar...". Questa dolce frase, una soave dedizione, è bruscamente interrotta. Un
pianissimo tremolo dei primi violini, un lamento negli oboi e nei clarinetti, un improvviso
strepito di tutta I' orchestra. ll cuore in tumulto, impaurita: - Chi batte a quella porta? - E' il suo
cuore, è la sua angoscia, che le accendono I'immaginazione. Oè il vento, una folata di vento,
come Emilia le dice per tranquillizzarla. "Io per amarlo e per morir. Salce! Salce! Salce!".
L' anima è profondamente turbata. L' introduzione risuona, come ritornello, con più dolorose
armonie. E'svanita la dolcezza del ricordo. Altri stati d'animo sopravvengono. "Stringendo il
tempo" Otello sta per giungere. Desdemona congeda Emilia. Gome le ardono le ciglia! "E'
presagio di pianto". Passa qualche istante, quasi in silenzio. Pare che Desdemona mediti
sulla imminente sua solitudine. Marcati accordin "p p", con rapidi colpi di gran cassa. Emilia
sta per uscire. lmprovvisamente Desdemona è presa dal terrore. Sente che sta per perdere
ogni aiuto, che resta in balia del destino tremendo. Un grido, ed in questo grido tutta la sua
anima, I'amore alla vita, la speranza, il dolore, le più tragiche visioni... Non e ad Emilia che
ella da l' addio, ma alla vita, che sembra le sfugga, alla vita cui le pare d' aggrapparsi,
naufraga, nell'abbracciare convulsamente I' amica. Emilia esce. Un lento cromatismo
discendente si lamenta coi fagotti, i violoncelli e i contrabbassi, mentre flauti, oboi, clarinetti e
corni ripetono il mesto episodio dei flauti che già concluse la prima apparizione strumentale
della Canzone del Salce.
Da notare infine come nella ripresa parigina dell' opera in francese, con libretto tradotto da
Boito stesso e da C. Du Locle col titolo "Othello" del 1894, Verdi aggiunse i consueti Ballabili
dove fa sfoggio di brani dallo stile orientale occidentalizzati, come per Aida, dalla
scrittura verdiana: Ballabili, Canzone araba, Invocazione di Allah, Canzone greca, Danza, La
muranese, Canto guerriero.
Con l' elaborazione del libretto dell' "Otello" (e poi del "Falstaff'), derivante dalla
collaborazione di Boito con Verdi sempre più sensibile ed attento nei confronti della parola
scenica e soprattutto, come abbiamo visto, nei confronti di nuove combinazioni ritmicoversali,
di soluzioni "astrofiche", di ricercate scelte stilistiche e persino linguistiche in funzione
di una drammaturgia musicale tragica (come comica, per il "Falstaff'), sorge una nuova
concezione librettistica, svincolata dalle convenzioni metriche della tradizione ottocentesca e
frutto di un rapparto paritario tra autore del testo e compositore.
ll lavoro di Boito ha toccato quasi tutti i campi. Con l'adattamento di "Othello" ha fornito a
Verdi una tragedia compiuta, dalle mille sfumature, oltre a un percorso che, per la potenza
dei versi impiegati e le suggestioni delle forme, hanno molto influenzato il Maestro,
portandolo a comporre una delle sue opere più sperimentali. In più occasioni si e cercato di
quantificare il peso di Boito sulle scelte di Verdi nell' ultima fase d' evoluzione della sua arte.
Di fronte a una svolta di tale portata viene in mente una frase di Verdi divenuta una massima:
"Tornate all' antico, e sarà un progresso".
Con "Otello" Boito si è rivolto all' eternità della legge tragica: non poteva risultarne un
progresso maggiore nell' arte del melodramma.
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